Sunday, May 20, 2007

 

Bolivia: ritorno alla montagna dopo una breve pausa, 18 maggio - 1 giugno 2007 - ITALIANO

La Paz, 18 maggio 2007
L'ultima montagna, il Nevado de Chañi, e' stata scalata piu' di un mese fa. Sicuramente piu' di una persona si deve essere chiesta perche' da settimane non v'erano attualizzazioni del mio blog e neanche nuove foto sul mio sito web.
La risposta: ho passato quattro intense settimane a Buenos Aires vivendo emozioni diverse da quelle della montagna. Era da un po' di tempo che non vivevo una condizione sentimentale tanto coinvolgente... si', capita anche ai freddi alpinisti. Ad ogni modo so che nella montagna trovero' l'energia per emergere da questo momento un po' difficile. Sono da qualche giorno a La Paz (Bolivia) ed ho ricominciato a fare alpinismo a tamburo battente. Ieri ho scalato il Huayna Potosi, una montagna di 6088 metri vicina a La Paz, in meno di ventiquattro ore. Domani parto per il Pequeño Alpamayo, una montagna piu' bassa ma a detta di molti bellissima. Restero' in Bolivia facendo alpinismo fino al 12 giugno ed in seguito mi rendero' in Peru, a Huaraz, per cinque settimane. A Huaraz incontrero' Mike, un alpinista californiano con il quale ho scalato l'anno scorso nel massiccio del Monte Bianco.

Huayna Potosi, cinquanta metri dalla vetta

La Paz, 22 maggio 2007
Anche il Pequeño Alpamayo e' stato scalato. E' stata una scalata molto piu' dura del previsto e per varie ragioni. La prima sicuramente, la mancanza di riposo: dopo meno di quarantotto ore dall'aver scalato il Huayna Potosi mi sono gettato a capofitto su una nuova montagna. Sono inoltre circa due settimane che convivo con una noiosa influenza ma la voglia di vincere la mia attuale crisi personale mi ha portato ad ignorare l'attuale malessere fisico. Aver scalato in solitaria non ha certo reso le cose piu' facili.
Ma come accade spesso, le cose diventano piu' difficili proprio quando siamo piu' deboli. Durante la marcia di avvicinamento al campo base del Pequeño Alpamayo sono scivolato su dell'erba bagnata e sono finito in una pozza di acqua gelida. Erano le sei del pomeriggio ed il Sole cominciava a noscondersi dietro la cresta delle montagne piu' alte. A poco meno di cinquemila metri d'altezza mi sono trovato bagnato ed esposto ad un secco e freddo vento. Nel giro di qualche minuto il mio corpo ha sfiorato l'ipotermia ed in pochi istanti mi sono trovato con le mani quasi congelate. Ho raccolto le energie e sono riuscito ad aprire il mio sacco a pelo; dopo circa due ore avevo di nuovo ripreso il pieno controllo dei miei muscoli. Ho mangiato, mi sono dissetato e mi sono predisposto mentalmente alla scalata che mi attendeva il giorno dopo.
Dopo qualche ora di sonno agitato mi sono svegliato. Una coltre di fine ghiaccio aveva coperto il sacco a pelo. Dimenticavo, per motivi di rapidita' avevo scelto di scalare la montagna con un equipaggiamento particolarmente leggero e dunque non avevo portato la tenda. Contro le mie previsioni la notte si era rivelata molto piu' gelida del previsto.
Cercando le forze nel mio orgoglio e nel mio desiderio di emergere dal mio difficile momento personale sono uscito dal caldo sacco a pelo, mi sono vestito ed equipaggiato e nonostante la forte nausa ed il mal di gola ho ripreso a marciare verso il campo base che non avevo potuto raggiungere qualche ora prima. Dopo un'ora ho sorpassato il campo base, composto da qualche tenda resa bianca dalla brina notturna ed ho visto in lontananza sul ghiacciaio del Pequeño Alpamayo delle luci lontane, sicuramente di altri alpinisti che stavano scalando la mia stessa montagna. La prospettiva di non essere del tutto solo mi ha scaldato il cuore. Ancora mezz'ora ed ho raggiunto il lago generato dalla fusione del ghiacciaio; a questo punto mi sono reso conto che quelle luci si avvicinavano sempre di piu'. E' bastato poco perche' mi incontrassi con il gruppo formato da una guida boliviana e da due alpinisti francesi. Le loro parole: "Il fait trop froid aujourd'hui et de plus nous ne sommes pas trop bien" ("fa' troppo freddo oggi e per di piu' noi non ci sentiamo troppo bene"), hanno suonato nella mia testa come un monito. Il buon senso mi diceva che sarebbe stato meglio fare marcia indietro verso il mio sacco a pelo ed aspettare pazientemente che il Sole con la sua energia scaldasse il mio corpo debole e freddo. Ho deciso di continuare la mia marcia sul ghiacciaio; dopo aver superato due infidi crepacci e dopo circa altre due ore di facile scalata mi sono trovato su una cresta, di fronte alla bella ed imponente piramide di ghiaccio del Pequeño Alpamayo. Senza pensarci due volte, ho cominciato a lavorare con le due picozze lungo la cresta che costituisce la via normale della montagna. Proprio in quel momento, il Sole e' sorto al di la' delle montagne piu' lontane ed ha cominciato a scaldarmi. Minuto dopo minuto il suo calore e' diventato piu' forte del vento gelido che non cessava di soffiare dalla sera prima. Dopo quaranta minuti di lavoro mi sono trovato di nuovo in vetta.
Il tempo di qualche fotografia e mi sono diretto con tutte le mie forze verso il luogo che il caso avevo voluto che scegliesse per passare la notte passata. Sulla via di ritorno ho incrociato la guida boliviana ed i due francesi incontrati all'alba. Mi confessano che nessuno dei tre avrebbe scommesso un solo centesimo sul mio successo.
Adesso sono a La Paz, ho circa trentanove gradi di febbre, ed un forte mal di gola e sono solo in una stanza d'albergo. Credo che ci vorranno diversi giorni prima che potro' scalare la prossima montagna ma davvero non vedo l'ora di ricominciare.

Pequeño Alpamayo

Campo base del Condoriri, 1 giugno 2007
Sono stati necessari piu' giorni per ristabilirmi dall'ultima scalata. Ad ogni modo dopo qualche giorno di riposo passato a Copacabana - sulle sponde del lago Titicaca - la montagna e la sua grandezza mi hanno richiamato. Ho avuto la fortuna di conoscere una simpatica coppia di alpinisti californiani, Yoav ed Ilona. Due giorni fa siamo partiti da La Paz con l'obiettivo di scalare il Condoriri, una delle montagne piu' belle della Cordigliera delle Ande. Dopo aver passato un giorno di riposo e di acclimatamento all'altitudine - il campo base del Condoriri, che e' poi lo stesso di quello per il Pequeño Alpamayo, e' situato ad oltre 4700 metri d'altezza - oggi all'una di notte abbiamo intrapreso la scalata.

Condoriri, il prossimo obiettivo

La temperatura alla partenza e' straordinariamente mite, ma l'aria si raffreddera' durante la notte. Per arrivare in vetta al Condoriri e' necessario scalare una cresta nevosa difficile e molto esposta. E' indispensabile dunque arrivare in vetta poco dopo il sorgere del Sole e riscendere prima che la neve perda consistenza. Infatti manca il piu' piccolo appiglio roccioso e se la neve, sotto l'azione del Sole, diviene troppo molle diventa impossibile arrestare la benche' minima caduta.
Dopo circa due ore di marcia ci siamo trovati di fronte ad una scoscesa pietraia con pendenza di circa quarata gradi. Purtroppo, a causa dei recenti cambi climatici, molte sezioni che fino a venti anni fa erano su ghiaccio adesso sono su detrito e questo rende le cose assai meno piacevoli e sicuramente piu' faticose. Durante la marcia su questo difficile terreno Yoav comincia a sentirsi poco bene, probabilmente soffre di un malessere di natura digestiva. Dopo una diecina di minuti Yoav decide di lasciare il gruppo e di ritornare al campo base. Con Ilona continuamo la scalata. Rapidamente ci troviamo in prossimita' della zona ancora soggetta a glaciazione. Dopo esserci incordati cominiciamo a proseguire sul ghiacciaio del Condoriri, bianco e compatto.

Condoriri

Ancora due ore ed arriviamo, sotto le luci dell'alba, alla sezione tecnica della scalata. Dopo aver superato un canalone di neve e ghiaccio ci ritroviamo sulla cresta sommitale del Condoriri.
Come ci troviamo sulla cresta un intenso vento da Ovest comincia a soffiare rendendo tutto molto difficile. Ilona e' un alpinista competente ma e' molto leggera e la neve non e' abbastanza dura. Tutto questo per dire che in caso della mia caduta lei sarebbe limitatamente in grado di arrestarmi e dunque entrambi ci ritroveremmo nel vuoto. Non senza paura comincio a procedere sulla cresta; Ilona mi da' corda man mano che procedo su una cresta affilata come un rasoio. Dopo un paio di lunghezze mi trovo nel punto critico della via, una banda rocciosa che affiora proprio dove la pendenza supera i sessantacinque gradi. Vorrei passare l'intera sezione senza ponere alcuna protezione ma ho troppa paura. Giusto al di sotto della banda rocciosa deciso di ponere un fittone nella neve, ma mi risulta difficile equilibrarmi. Devo sforzarmi di non fare movimenti bruschi, devo essere suave nelle mie azioni. Riesco a recuperare il fittone dallo zaino, lo pianto nella neve laddove mi sembra piu' solida e con l'aiuto dei denti faccio passare la corda attraverso il moschettone. Supero il costone roccioso e tutto cambia. In prossimita' della vetta la cresta modera la sua inclinazione e superando minori difficolta' ci ritroviamo in meno di un quarto d'ora in vetta al Condoriri a celebrare il nostro successo.

In cima al Condoriri

In realta' la parte che richiedera' piu' attenzione sara' la discesa. Ma siamo ben coscienti dei rischi dunque non perdiamo la concentrazione. Metro dopo metro scendiamo lungo la cresta con assoluta metodicita' e precisione e ci assicuriamo al termine di ogni lunghezza.

Scendendo lungo la cresta del Condoriri

Dopo circa un'ora ci ritroviamo alla canalone di neve e ghiaccio che discendiamo su corda doppia assicurata su due chiodi da roccia e cordino. Il resto della discesa e' giusto lavoro di gambe, siamo di ritorno al campo base poco dopo mezzogiorno. Adesso sono nel mio sacco a pelo annotando i momenti salienti di questa giornata. Sono le tre del pomeriggio e so che fra meno di un'ora il sonno prendera' possesso di me. Spero che non mi abbandonera' prima di domani, perche' adesso e' davvero tempo di riposare.

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