Sunday, October 29, 2006

 

Puno, 29 ottobre 2006 - ITALIANO

Sono a Puno, piccolo porto situato sul mitico lago Titicaca, uno "specchio d'acqua" lungo oltre duecento chilometri situato a cavallo della frontiera fra Peru' e Bolivia. E' un luogo sacro alle popolazioni indigene che abitano questa regione da millenni.
Gli ultimi giorni non sono stati di montagna, ma non per questo meno faticosi.
Fatevi una bevanda calda, sedetevi di fronte al monitor e mettetevi a leggere perche' durante i prossimi quindici minuti potreste ridere di vero gusto.
Come gli assidui lettori del mio blog sanno, dopo la scalata del Chimborazo ho deciso di concedermi qualche giorno di riposo nella citta' di Cuenca prima di muovermi verso la Cordillera Occidental, una catena di montagne situata nella Bolivia occidentale.
Cuenca e' una citta' coloniale bellissima. Pulita ed ordinata, il che in Ecuador e' una vera rarita'. I due giorni a Cuenca sono passati rapidamente e piacevolmente mangiando, bevendo e dormendo ogni mattina fino alle nove. Giovedi' 26 ottobre ho pensato che era venuto il momento di darci un taglio ed alle due del pomeriggio ho preso i miei 40 chili di materiale e mi sono mosso verso il "Terminal Terrestre", il luogo da cui partono gli autobus a lunga percorrenza. Certo non speravo di trovare un autobus diretto per La Paz (si tratta di una roba come piu' di tremila chilometri di distanza) ma almeno verso una destinazione in Peru'. Gia', ho dimenticato di dire che fra l'Ecuador e la Bolivia c'e' il Peru' e che in autobus per attraversarlo ci vogliono circa 48 ore.
Niente da fare, il meglio che potro' fare e' arrivare a Machala, ridente cittadina famosa per la produzione delle banane (traduzione: citta' polverosa e sporca piena di zanzare), e da li' prendere un altro autobus verso Huaquillas, l'ultimo villaggio in Ecuador prima del Peru'. Le cose appaiono subito un po' piu' complicate del previsto. Peru ed Ecuador sono stati in guerra per anni perche' non riconoscono la frontiera esistente, dunque non esiste un vero e' proprio passo frontaliero. C'e' una frontiera de facto, ed e' costituita da un fiumiciattolo pieno di spazzatura che separa i villaggi (o meglio dovrei dire baraccopoli) di Huaquillas in Ecuador e di Aguas Verdes in Peru'. Ai due lati di questa frontiera ci sono qualche volta dei soldati che osservano nel totale disinteresse le persone che attraversano il fiume. Il controllo dei documenti avviene dal lato dell'Ecuador cinque chilometri prima e dal lato peruviano tre chilometri dopo il ponte. Ed ancora, e' un atto praticamente volontario. Intendo dire che non v'e' alcun percorso obbligato che impone di passare per gli uffici di immigrazione, e questo e' vero per i due paesi. E' possibile passare da un paese all'altro senza mostrare il proprio passaporto, e questa senza la minima difficolta'. Dopodiche' immagino che lasciare uno dei due paesi risulterebbe difficile senza avere il timbro di entrata. Vi lascio anche immaginare il contrabbando che avviene in questa striscia di territorio.
Le cose si presentavano dunque gia' un po' complicate perche' a meno di non noleggiare un mezzo di trasporto privato occorre fermarsi ogni volta ad uno degli uffici di immigrazione, scendere, svolgere le formalita' ed aspettare un nuovo mezzo di trasporto.
Ma naturalmente, del peggio v'e' il peggiore.
A circa quindici chilometri dal confine l'autobus che mi avrebbe dovuto trasportare almeno fino al controllo di immigrazione di Huaquillas si ferma. Per quale motivo? Semplice, per via di uno sciopero la frontiera e' bloccata. Si puo' passare solo a piedi; autocarri messi di traverso, barricate, pneumatici in fiamme bloccano la strada ad ogni mezzo di trasporto e chi prova a passare rischia una buona dose di bastonate dagli scioperanti. La cosa normale sarebbe stata pernottare in un albergo ed aspettare l'indomani. Esattamente quello che non ho fatto, non chiedetemi il perche' di una tale cazzata.
Prendo i miei bagagli (ripeto piu' di 40 chili) ed a piedi supero il primo blocco stradale. Mi sento come in un profugo in un filmato televisivo. Procedo insieme ad altre persone nel mezzo di un caos totale, fra gente che porta bambini, valigie, materassi ed ogni tipo di masserizia. Dopo tre chilometri assolutamente allucinanti propongo ad un tipo di trasportare parte del mio bagaglio, dietro remunerazione. Mezz'ora e circa due chilometri dopo arriviamo ad un posto dell'esercito dell'Ecuador e li' decidiamo di fermarci. Il sergente di guardia mi chiede se il mio sacco e' dell'esercito degli Stati Uniti d'America. E li' ho un colpo di genio, rispondo: "No e' il mio sacco personale, sono un ufficiale dell'esercito italiano". Per farla breve gli racconto che sono un Tenente degli Alpini e che sono in vacanza in America del Sud per fare alpinismo e che la situazione attuale davvero non e' adeguata al mio grado.
La cosa funziona, incredibilmente funziona. Il sergente si mette a disposizione, immediatamente. Impone al primo veicolo degli scioperanti che passa di trasportarmi fino alla frontiera. Che figura rischia di farci il paese, altrimenti?
Mezz'ora dopo passo la frontiera fra Ecuador e Peru', e mi trovo nel villaggio di Aguas Verdes.
Panico allo stato brado!
L'Ecuador e' Terzo Mondo, ma il Peru' lo e' molto, molto di piu'. Voglio dire e' molto, molto piu' pericoloso. Mi trovo circondato da uno stormo di mini-taxi che mi propongono di condurmi al controllo di immigrazione; sono le dieci di sera e' non v'e' piu' alcun mezzo di trasporto pubblico. D'altronde il posto dove sono e' allucinante: scuro, sporco, non v'e' direzione chiara, sono su una frontiera e non v'e' ombra di una guardia o di un soldato. Devo muovermi da qui al piu' presto.
Salgo su uno di queste motorette adattate a taxi; il conducente percorre un percorso diverso da quello dovuto, cio' mi costringe a mettere la mano sul coltello che porto sempre con me. Non ve n'e' bisogno, le cose vanno come dovuto anche se passato l'ufficio di immigrazione peruviano il conducente comincia a farmi un discorso strano. Dura poco, vedo passare un taxi regolare - l'ufficio di immigrazione marca la fine della "terra di nessuno" - lo chiamo e mi ci butto dentro, incurante degli insulti del conducente el mini-taxi.
Mezz'ora dopo arrivo alla citta' di Tumbes, sono di nuovo nella civilta'. Da li' otto ore di autobus notturno e sono a Chiclayo dove comincia il deserto. Un'ora di attesa e prendo posto su un autobus diretto a Lima dove arrivo dopo quattordici ore di percorso attraverso il deserto.
A Lima ho avuto giusto il tempo di riposare la notte; ieri alle tre del pomeriggio prendo l'autobus che dopo ventidue ore di viaggio mi porta finalmente sulle sponde del lago Titicaca, a soli trecento chilometri dalla Bolivia e da La Paz.
E credo davvero che per i prossimi due giorni faro' il turista, anche perche' qui siamo a quattromila metri d'altezza e dopo piu' giorni passati praticamente al livello del mare mi manca davvero l'aria.

Monday, October 23, 2006

 

Ascensione del Chimborazo atto II, 17-22 ottobre 2006 - ITALIANO

Rifugio Whymper, 18 ottobre 2006
Sono le otto di sera, sono arrivato da qualche ora al rifugio Whymper. Fra qualche ora sarebbe dovuto cominciare il mio secondo tentativo di scalata del Chimborazo. Utilizzo il condizionale passato perche' domani credo che l'unica cosa che potro' fare sara' andare via da qui. Sono terribilmente malato. Gia' stamattina a Riobamba non mi sentivo bene ma adesso la cosa ha preso tutt'altra ampiezza. Ho una febbre fortissima (non ho il termomentro, ma credo debba essere intorno ai 39 gradi) e lo stomaco pieno d'aria. Con ogni probabilita' devo aver mangiato del cibo cattivo o dei liquidi contaminati. Non mi sembrano dei sintomi da mal di montagna ma vedremo domani quando partiro' da qui se le cose si metteranno meglio.
Per calmare la febbre ho prenso qualche ora fa 1 grammo di paracetamolo ma non posso aspettarmi alcuna guarigione miracolosa.
Sono triste ed arrabiato, le condizioni della montagna - nonostante quelle che credessi - sono migliori della ultima volta e domani c'e' un gruppo che parte per la cima. Anche senza aggiungermi a loro sarebbe stato comunque meglio che essere da solo.
Questa montagna sembra davvero maledetta per me, ma non voglio darmi per vinto. Domani vedremo come sto e decidero di conseguenza il da farsi.
Casa Condor, 19 ottobre 2006
Questi sono i momenti difficili. Sono ammalato e solo nella fredda stanza di una locanda deserta di nome "Casa Condor" che si trova a qualche chilometri di distanza dalla strada che conduce al rifugio Whymper. Questa mattina sono sceso dal rifugio a questo luogo che e´situato a 3900 metri. Qui spero di recuperare dal malore che ieri notte non mi ha fatto chiudere occhio e che mi sta tenendo inchiodato ad una febbre di 39 gradi nonostante le massiccie quantita' di paracetamolo che sto prendendo. Non ho molto cibo e nonostante non stia bene ho cominciato a razionarlo visto che non ho idea quando durera' questa situazione. Essendo il solo turista il proprietaria mi ha lasciato le chiavi e mi ha detto che passera' domani; se possibile mi portare del pane e delle uova.
Un punto positivo: non sono sceso troppo in altitudine e questo mi consente almeno di non perdere il mio acclimatamento.
Casa Condor, 20 ottobre 2006
Non sto meglio ed a questo punto ho ragione di credere che l'infezione non sia di origine virale perche' non ho male alle vie respiratorie superiori (naso, gola, orecchie). Stamattina sono passato agli antibiotici (500 mg al giorno di azitromicina, un farmaco ad ampio spettro di azione), non posso giusto stare li' ad aspettare. E' difficile essere solo in questa stanza fredda e spoglia, bloccato in un letto ed inoltre con il cibo che mi sta per finire. Se domani non sto meglio non avro' altra scelta che scendere giu' in citta' e voltare pagina. Vorra' dire che questa montagna non era per me.
Rifugio Whymper, 21 ottobre 2006
Quasi un miracolo, o semplicemente ho avuta molta fortuna nello scegliere il farmaco adatto. Ventiquattro ore dopo l'assunzione della prima dose di azitromicina la febbre ha cominciato a scendere e qualche ora fa me la sono sentita di lasciare "Casa Condor" per dirigermi di nuovo al rifugio Whymper. Sono anche riuscito a procurarmi del cibo da una coppia di turisti che lasciavano il rifugio e che mi hanno lasciato dei cereali, riso e qualche dolce. Sono nel sacco a pelo, steso sulla branda recuperando rapidamente dagli ultimi tre giorni. Sto bevendo liquidi ed assumendo vitamine in continuazione; mi sento ogni ora meglio anche se sono fortemente indebolito.
Domani partiranno alla volta della vetta del Chimborazo due gruppi: due francesi con una guida e due americani con due guide. Non v'e' stato verso di aggregarsi a nessuno dei due gruppi, ma almeno se decidero' di partire almeno non saro' solo sulla montagna nel caso qualcosa dovesse accadermi.

Ascensione, 22 ottobre 2006
La giornata comincia presto: la sveglia e' alle undici della notte del giorno precedente, la partenza dal rifugio verso la mezzanotte. Sveglia per modo di dire perche' non ho chiuso occhio. In generale ho difficolta' ad addormentarmi presto ed in questo caso non ho dormito per nulla e per diversi motivi. Troppo sonno durante la malattia appena passata, ma sopratutto sono tesissimo. Lo sforzo fisico e mentale fatto per provorare di nuovo a scalare questa montagna - specie dopo gli ultimi tre giorni - e' stato immenso. Soltanto una difficolta' imprevista o insormontabile potrebbe fermarmi.
Mi sento bene, per il momento non accuso nessun segno di mal di montagna, ma mi sento abbastanza debole. L'azione degli antibiotici che sto prendendo deve essere andata un po' piu' in lontano della semplice distruzione degli "aggressori" del mio sistema digestivo.
Lascio il rifugio allo stesso tempo della coppia francese e della loro guida. All'inizio mi limito a seguirli, discretamente. Siamo ancora sul percorso di avvicinamento alla via normale e la direzione e' chiara e senza ambiguita'. Troppo semplice per durare; dopo circa un'ora le cose si complicano, cio' che mi aspettavo vista la mia esperienza di due settimane fa. Cio' che normalmente dovrebbe essere una facile progressione su neve e' invece ora un difficile percorso su roccia e sfasciumi misti a ghiaccio vivo. La coppia francese e la loro guida procedono su questo terreno instabile ed insidioso, per il momento li seguo. Dopo un quarto d'ora le cose cambiano. Ci troviamo di fronte allo scenario seguente: superare un muro di roccia compatta e quasi verticale che e' alla nostra sinistra, svoltare quindi di circa 45 gradi verso Ovest e proseguire lungo la via normale normalmente percorsa per ascendere alla vetta di questa montagna oppure continuare l'attuale tediosa ed impegnativa progressione cercando di raggiungere la via normale piu' in alto dove le condizioni di innevamento dovrebbero consentire una progressione piu' agevole. Il gruppo che mi precede preferisce la seconda opzione. A me non convince, ci si allontana dalla via normale e non v'e' garanzia di non trovare difficolta' impreviste; sopratutto il percorso attuale e' troppo tedioso ed instabile.
In termini generali tendo sempre a privilegiare le soluzioni che sono alpinisticamente piu' interessanti, laddove alla portata del mio livello tecnico. Il muro di ghiaccio che e' alla mia sinistra non sembra alla fine dei conti cosi' invalicabile. E' verticale ma e' pieno di appigli e la roccia e' di buona qualita'. Due piu' due fa quattro, in trenta secondi faccio la mia scelta. Decido di arrampicare in solitaria e totalmente in libera il muro. In meno di dieci minuti mi trovo trenta metri piu' in alto, supero il muro e mi trovo di fronte ad un percorso di facile arrampicata su roccette facili. In meno di mezz'ora sono almeno cento metri piu' in alto della coppia francese che nel frattempo e stata raggiunta dai due americani con le loro guide. A questo punto il percorso diventa di nuovo duro, ma sono a solo cinquanta metri dalla cresta. Il problema e' che sono esattamente dove mi ero trovato due settimane fa. Che fare? Decido di aspettare e di vedere quale percorso sceglieranni gli altri. Dopo mezz'ora di attesa si fa prepotente in me il pensiero di essere nell'errore; piuttosto che continuare verso la cresta e procedere al probabile incontro piu' in alto, decideo di effettuare una traversata e di raggiungere gli altri. Rapidamente, ma non senza sforzo, li raggiungo e li' mi rendo conto che ero sulla buona strada e che finalmente non avrei dovuto deviare. Infatti seguendo il gruppo dei due americani con le loro guide sono esattamente sulla cresta dove mi sarei trovato se avessi proseguito per il percorso da me scelto all'inizio. Nel frattempo i due francesi e la loro guida avevano fatto dietro-front; la loro guida non se l'era sentita di richiare la vita dei suoi clienti (sic).
Senza entrare troppo nei dettagli voglio dire che l'ascensione e' stata molto piu' difficile del previsto, ma dopo sette ore di dura salita finalmente ero insieme agli altri sulla vetta secondaria, la "Cumbre Veintimilla" (6267m) appena 43 metri piu' bassa della vetta principale, la "Cumbre Whymper" (6310m). Gli ultimi 150 metri del Chimborazo sono attualmente coperti da una landa di penitenti, formazioni di ghiaccio a forma di pinnacoli che arrivano a 5 metri di altezza e rendono la progressione su ghiaccio estremamente difficile. Si tratta di un fenomeno molto raro in Ecuador ma che e' stato provocato dalla deposizioni delle ceneri provocate dall'eruzione del vicino vulcano Tungurahua durante l'ultimo mese.
Il ritorno e' stato a dir poco disagevole, ghiaccio vivo e pietre instabili mi hanno accompagnato fin quasi al rifugio. In piu' punti ho dovuto scendere in libera sezioni di 6-10 metri di ghiaccio compatto senza possibilita' di errore. Fin quando le cose restano cosi' (ed occorre almeno un metro e mezzo di neve per stabilizzare l'intera via) per me il grado della via piu' facile di scalata non e' inferiore a AD- (abbastanza difficile inferiore). Sicuramente farla da solo e' poco raccomandabile, ma la soddisfazione di essere arrivato in vetta dopo i problemi degli ultimi giorni e' stata enorme.
Adesso qualche giorno di riposo e dopo in rotta verso le montagne boliviane della Cordillera Occidental. I prossimi obiettivi si chiamano Parinacota, Pomerape e Sajama.

Tuesday, October 17, 2006

 

Riobamba, 17 ottobre 2006 - ITALIANO

Eccomi a Riobamba, dove comincia il Sud dell'Ecuador.
Sono ad una trentina di chilometri dal Chimborazo, la montagna dalla quale circa dieci giorni fa ho dovuto mestamente allontanarmi dopo essere arrivato a 300 metri dalla vetta.
Nel frattempo ho scalato una montagna facile, l'Illiniza Sud. Facile si', ma di soddisfazione non fosse altro che per lo stupendo paesaggio che mi sono potuto offrire dalla sua vetta (vi invito a dare uno sguardo su www.flickr.com/photos/silviosparano73/sets perche' sono foto che meritano davvero). Credo che si sia trattato della mattina con il cielo piu' calmo e sereno da quando sono arrivato in Ecuador.
Dopodiche' ho pensato che valesse la pena di essere generosi con se stessi e mi sono offerto cinque giorni di pausa sulla costa. Sole, bruciature sulle spalle (il Sole all'equatore ti cuoce a puntino appena dimentichi di coprire qualche centimetro quadrato di pelle con la protezione solare) e grandi scorpacciate di pesce, pesce ed ancora pesce.
L'altroieri sono tornato a Quito e da li' mi sono mosso verso Riobamba dove sto preparando un nuovo tentativo di scalata al Chimborazo. E per dirla tutta, a parte la motivazione personale che questa volta e' piu' intensa, questa volta le cose sono senza dubbio piu' difficili della prima volta. Da allora non e' nevicato, dunque il ghiaccio - quello che resta - e' ancora piu' duro ed il pericolo di frane e' ancora piu' elevato. Da qui il Chimborazo si vede come se si potesse toccare ed a detta degli abitanti del posto a memoria d'uomo non si ricorda un ghiacciaio di dimensioni cosi' ridotte. Sono mesi che in Ecuador non piove ed ogni giorni il Sole equatoriale e' una vera coltellata per il manto nevoso che copre il Chimborazo. Dovunque vado sempre lo stesso scenario, temperature in aumento, precipitazioni sempre piu' ridotte, ghiacciai che scompaiono. Mi chiedo davvero cosa restera' di questo pianeta in meno di cinquant'anni.
Va bene, torniamo a questa scalata. Le condizioni "esterne" non sono migliorate e la condizione fisica neanche. Dopo aver passato cinque giorni al livello del mare ho perso una buona parte del mio acclimatamento all'altitudine e sicuramente soffriro' molto quando mi trovero' a piu' di 5500 metri (l'altitudine del Chimborazo e' di 6310m). Pero' sono ben piu' motivato della prima volta e questo potrebbe giocare in mio favore. Per il resto speriamo che la buona sorte sia con me.

Saturday, October 07, 2006

 

Chimborazo's climb, 4th-6th October 2006 - ENGLISH

Camping spot, 4600m - 4th October 2006
I guess someone might believe that after all my foot was not so sore if I could leave to climb another mountain. Well, things are not exactly like that. Let's say that I preferred to climb being in pain rather than continue to be a tourist. Speaking frankly it goes much better, otherwise I would have never got to the foot of Chimborazo. I am currently camping at about 400m from the Whymper hut, a place named from the name of the british climber who first got to the summit of this mountain. This is the starting point to climb Chimborazo on its normal route.
Right now I am too tired to trek a single more yard and I need to spend a day at 4500m to get again acclimatised to the altitude. Chimborazo is not one of the highest mountain in the Andes. It is the highest in Ecuador, but despite its 6310m there are at least fifty more higher mountains in South America. The thing that is the most interesting is the relative size of the mountain when compared to the sourroundings. I don't think I have ever seen anything of so BULKY. It is a massive block of rock (covered with a glacier) emerging for about 2500m over the sourrounding plateau which has a height variable between 2500 and 3500 meters. Tonight the moon is almost full and it is very cold as it can be at 4500m (even at the equator).
I'm in my sleeping bag and at the weak light of my torch I write being already worried by the fear of the solitude that I will feel as soon I finish to write. It is low season in Ecuador and I guess that even this time I will have to climb alone.

Whymper hut, 5000m - 5th October 2006
4 pm, in seven hours I start to climb. Even this time, damn, I am alone.
Outside the landscape is almost lunar. There is just a little of vegetation near the stream generated by the fusion of the glacier. We are at 5000m and there is little flora that can adapt to such tough conditions. The glacier is very dark after the eruption of the close Tungurahua volcano which moved massive quantity of ash. I guess this will accellerate the process of glacier retreat which at the equator is already very fast (dark corps receive more light, and then heath, then the bright ones). I don't know how things will go tomorrow but getting to the top would be and immense personal success. Chimborazo's normal route is classified as almost easy but when it comes to 6000m's mountains even the easiest climb can be impossible if the weather conditions are adverse. Furthermore I am alone and this is psycologically a big hardle. However things go, I will put in all my motivation and enthusiasm.

Quito - 6th October 2006
I am in an Internet bar trying to put together the memories of a long and tough day. Yesterday night at eleven after a double portion of Porridge and three cups of hot milk I left towards Chimborazo's summits, with the company of the stars. Very quickly I moved to 5300m where a mixed section (ice and rock) called El Corridal (the corridor) starts. The first difficulties arrive, I was expecting a kind of straight-forward walk and with my surprise I realise I need to use frequently my ice-axe. It has not been snowing for more than a month, all the snow melt to leave room to what it is technically called "blue ice". In the process of building of a glacier what happens is that the snow after several stages of compacting and melting passes from the conditon of snow to ice. In this process the density increase from about 0.35 (density of fresh snow) to nerly 0.92 (density of ice). The end of this process arrive of course that the highest possible density is reached and of course this makes the ice layer in a glacier also the deepest one as its density is the highest. Higher density means higher weight and this makes also the ice layer the one that flows the fastest towards the valley. I do not want to make it too long - stop sleeping! - but the deepest layer is also the layer which is in contact with the rock and hence in its sliding mouvement erodes and carries all kind of rocks and scree. All this to say that this kind of ice is very very hard, also because it contains rocks.
Without any additional difficulty I get to 5500m where I expected to find more snow and an easier ground to climb. Not at all, there is still ice. Hard, very hard. I can progress only with major effort. I did not expect such conditions and I had choosen a light equipment, just one ice-axe and crampons not very sharp. At big risk (I am climbing on solo) I left back of me an ice pitch - a kind of dome - high about 10 meters. In my guide this is described as the last difficulty before a tedious and easy track trough a snow 30 degrees slope that in four hours should bring me on the top. Surprisingly the slope is not 30 degrees but at least 45. I continue to climb on this hoping things will smooth as I get closer to the top. Absolutely nop, after over one hour of hard work and about 500 meters climbed I find myself at 6000m and the climb is getting steeper rather than easier. I am alone, with the wind that starts to blow very fiercely and back of me there are at least 500 meters of slope. The smallest mistake in the ice-axe or crampons placement could cost a lot; I guess I would have big trouble in stopping myself in case of a fall. I understand I took the wrong way, I climbed on a direct route instead of turning left at some point of the climb to follow the change of slope. It is 4am and it is getting too late. In two hours the outter layer of ice will start to melt and the ice more than hard will be also sleepery. Even ignoring the difficulties of a way back on such a difficult surface I cannot ignore that front of me there are still 300 meters to gain with a slope higher than 50 degrees, no possibility to make a mistake and I got only one ice-axe; I also starts to be tired.
Good sense is taking its place in my mind, I concentrate and take the decision to turn back. Focusing on each single step I start to descent facing front to the ice. Meters after meter I get to "El Corridal" when the sun is rising. I got to the hut at 7.30am. I am very sad for the missed summit but the joy to be back home safe and exactly as I left is bigger than anything.
Today it is a nice day even if the Sun struggles to shine.

Friday, October 06, 2006

 

Ascensione del Chimborazo, 4-6 ottobre 2006 - ITALIANO

Accampamento, 4600m - 4 Ottobre 2006
Si' lo so, qualcuno stara' pensando che alla fine dei conti il piede non mi faceva cosi' male se alla fine dei conti ho trovato la forza di partire per una nuova montagna. Ma le cose non stanno proprio' cosi'. Diciamo piuttosto che ho preferito tenermi il dolore al piede pur di poter ricominciare a scalare. Ed in verita' va molto meglio, infatti anche se il pollice sta cantando come un'allodola sono comunque riuscito ad arrivare alla base del Chimborazo. Sono attualmente accampato a 400m dal Rifugio Whymper, punto di partenza per la scalata del Chimborazo lungo la sua via normale. Oggi ero troppo stanco per poter fare anche solo un metro di piu' ed avevo comunque bisogno di passare una giornata a 4500m per riacclimatarmi all'altitudine.
Il Chimborazo non e' una delle montagne piu' alte della Cordigliera delle Ande; e' la piu' alta dell'Ecuador, ma nonostante i suoi 6310m ci sono almeno altre cinquanta montagne sparse in America del Sud che sono piu' alte. Quello che sorprende di questa montagna sono le dimensioni relative rispetto a cio' che e' attorno. Non credo di aver mai visto niente di cosi' GROSSO; e' un blocco massiccio ricoperto da un ghiaccio anch'esso massiccio che si erge per circa 2500 metri sull'altipiano circostante che ha una quota variabile fra i 2500 ed i 3500 metri.
Fuori c'e' la Luna e fa' abbastanza freddo. Nel tepore del mio sacco a pelo ed alla luce tremula della mia lampada da campeggio scrivo nel timore della solitudine che provero' quando avro' finito di scrivere. E' periodo di bassa stagione e' credo che anche questa montagna dovro' scalarla da solo.

Rifugio Whymper, 5000m - 5 ottobre 2006
Sono le quattro del pomeriggio, fra sette ore comincero' la scalata. Anche questa volta, dannazione, da solo. Il paesaggio attorno e' davvero - scusate la banalita' - lunare. C'e' giusto un po' di vegetazione che cresce attorno alle acque di fusione del ghiacciaio (a 5000m c'e' poca flora che si adatta a condizioni cosi' rigide ed ancora meno fauna). Il ghiacciaio e' scuro per via dell'eruzione del vicino vulcano Tungurahua che qualche settimana fa a eruttato grandi quantita' di ceneri. Questo accellerera' il processo di fusione del ghiacciaio (i corpi scuri ricevono piu' luce, e quindi calore, dei corpi chiari) che all'equatore e' gia' avanzatissimo. Non so come andra' domani, so solo che se mi riesce di arrivare in vetta si trattera' di un succeso personale grandissimo. La via normale al Chimborazo e' classificata PD (poco difficile) ma quando si parla di montagne di 6000 metri il condizionale e' d'obbligo ed inoltre sono da solo e questo fatto psicologicamente e' un grosso ostacolo.
Comunque vada ci mettero' tutta la mia motivazione ed il mio entusiasmo.

Quito - 6 ottobre 2006
Eccomi al tavolo di questo Internet Bar mentre metto insieme i ricordi di una giornata pesantissima. Ieri sera alle undici dopo aver mangiato una doppia dose di Porridge e tre tazze di latte caldo sono partito alla volta della cima del Chimborazo, con le stelle e la luna che mi facevano compagnia. Con molta rapidita mi porto a 5300m dove comincia un percorso su misto (roccia e ghiaccio) chiamato El Corridal (il corridoio). Cominciano le prime difficolta', mi aspettavo una specie di "camminata" ed invece e' necessario l'uso frequente della picozza. Non nevica da circa un mese, lo strato superficiale di neve e' completamente sciolto ed ha lasciato il posto a quello che si chiama tecnicamente "ghiaccio vivo". In effetti nel processo di formazione di un ghiacciaio quel che succede e' che la neve in seguito a processi di compattazione e fusione passa dallo stato di neve, appunto, a quello di ghiaccio. La fine di questo processo avviene quando la neve arriva alla massima densita' possibile ammissibile per il ghiaccio e naturalmente questo strato poiche' e' quello con la densita' piu' alta e' anche quello piu' profondo. E' anche quello che in virtu' della maggiore densita' ha anche maggior peso e quindi "fluisce" piu' rapidamente a valle. Non voglio farla lunga - smettetala di sbadigliare! - ma poiche' e' lo strato piu' profondo e' anche quello che e' a contatto con la roccia e dunque nel suo movimento trascina con se ogni sorta di pietrisco.
Tutto questo per dire che il ghiaccio e' molto duro, perche' e' denso e perche' contiene roccia.
Senza troppe difficolta' procedo fino a 5500m dove mi aspetto di trovare uno strato di neve piu' morbida sulla quale scalare. Niente, ancora ghiaccio. Duro, durissimo. Con fatica riesco ad avanzare. Non mi aspettavo di trovare delle condizioni di questo tipo ed ho optato per un equipaggimento "leggero", vale a dire ho una sola picozza e ramponi poco aggressivi.
Con grande rischio (sto scalando in solitaria) ho lasciato dietro di me un dosso di circa dieci metri. Questa e' descritta nelle mia carte come l'ultima difficolta' prima di un tedioso percorso di quattro ore che conduce in vetta su neve con pendenza di circa 30 gradi. Ma la pendenza qui non e' di 30 gradi, ma almeno 45. Procedo su questo "muro" di ghiaccio sperando che le cose migliorino man mano che la vetta si avvicini. Niente da fare, dopo un'ora e mezzo di duro lavoro e circa 500 metri di ghiaccio mi trovo a 6000m e la pendenza invece di ridursi si inasprisce. Adesso mi trovo solo, in mezzo al vento che spira sempre piu' forte, con circa 500 metri di vuoto dietro di me. Il minimo errore nel piazzare la picozza o i ramponi potrebbe costarmi caro, con molta difficolta' potrei in un ghiaccio cosi' dura arrestare una caduta. Credo di aver sbagliato direzione, ho preso la via diretta verso la vetta ed invece da qualche parte bisognava "accompagnare" il cambio di pendenza. Ad ogni modo sono le quattro del mattino, comincia ad essere troppo tardi. Fra due ore lo strato superficiale del ghiaccio comincera' a sciogliersi, ed oltre ad essere duro sara' anche scivoloso. Ad ogni modo anche se volessi ignorare le difficolta' del ritorno su una superficie difficile non mi e' possibile ignorare che di fronte a me ho ancora 300 metri da vincere, con pendenze superiori ai 50 gradi, senza possibilita' di sbagliare e con un equipaggiamento inadeguato (ho una sola picozza). E per di piu' comincio ad essere stanco.
Il buon senso si fa strada, raccolgo le energie e lentamente ma con costanza comincio a scendere giu'. Fronte al ghiaccio, metro dopo metro, colpo su colpo, raggiungo "El Corridal" ad alba inoltrata ed alle sette e mezzo sono al rifugio.
La rabbia per la vetta mancata e' grande, ma la gioia di essere tornato come sono partito lo e' ancora di piu'.
Oggi e' una bella giornata, anche se il Sole fa' fatica a splendere.

Tuesday, October 03, 2006

 

Baños, 3rd October 2006 - ENGLISH

Right now I am in a hostel in Baños, a small city just in the middle of Ecuador.
The last week was very dense of things. My first climb was very succesful. In three days I could get on top of the Nevado Cayambe and despite the short time I could acclimatise to the height of the mountain (almost 6,000m). Energised by the prompt success I organised everything for the second climb after a couple of days of rest spent around Quito.
Last wednesday I was already at 4,800m resting at the hut "J. Rivas" (the oldest hut in Ecuador). The day after before the sunrise tied on the rope with two swiss climbers met during my way back from Cayambe, we were climbing the Cotopaxi, a perfectly symmetric volcano covered with a white glacier. At about 100m from the top (just at the crux of the route) we decide to turn back. It was to late in the day and the snow had "turned to sugar" under the sun of the day.
You can imagine I am too stubburn to accept something like that.
The day after, just to replay a scenario which is getting unfortunately very common, I start from the hut again, this time to get to the top. Unfortunately the weather conditions today are not so nice. The wind is very strong and for the most of the day it is very cold indedd. However I get to top, even if the only evidence of this is given by my GPS because I can hardly see at more than 5 meters from my nose.
But the very worse has still to come.
Back to the hut I realise my left foot is quite sore. This pain grows in intensity to get over the limit of the sustainability during my bus journey back to Quito. The bigger nail if my left foot is almost black and there are clear sign of infection. I guess this is one of the backdrop of the marathon I run just two weeks before. The cold and the strains suffered during the climbing did the rest.
Arrived in Quito I realise I do not have a wide range of option, I need a doctor. I got to the local hospital and the doctor explain me there is only one thing to do: remove the nail.
I don't know if anyone that is now reading this post has an idea of the pain connect to the removal of a nail. I had a vague idea and this was more than enough to convince me of the necessity to request an injection of anesthetic. Fine, the doctor agrees; he admits the pain would be to high. Despite all the efforts, there is no way to inject the anesthetic in significant quantity. The infection is too severe and the anesthetic cannot properly flow in the toe. Indeed the pain provocated by this unsuccesful operation is absolutely unsustainable.
But there is no limit to the concept of pain.
The doctor decide to operate and remove the nail with a strange pair of scissors; of course I am not informed of this decision. He just tells me: "Let's explore the situation, we might not have to remove the nail". During the five seconds following his sentence the doctor "operated" and I felt an immense pain. Do you remember the scene of the soap in Fight Club when Brad Pitt pours the acid on Edward Norton's hand? Here we are.
Useless to say since since that day (it was September the 29th, friday) I have not climbed, and actually untill yesterday my toe was so red and sore that I could hardly walk. I realised on myself that our nails are there for a specific reason.
The situation is now getting better hour after hour, but I have no idea when I can manage again to use crampons and climbing boots. In the meantime I have moved from Quito to Baños, which is less than 60 km from Chimborazo, the mountain that with its 6,310m is the highest of the country. As soon I will feel fine enough to trek I will move to the first camp at 4,000m; the day after to an higher camp at 5,000m and when the weather conditions suitable go for the summit.
It is difficult to give a forecast, but stating my actual conditions I would consider that achieve the next climb before the 9th of the current month would be a success.
To be continued...

P.S. Digital pictures of my toe and of the removed nail just after the "operation" are available on request.

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