Monday, October 23, 2006

 

Ascensione del Chimborazo atto II, 17-22 ottobre 2006 - ITALIANO

Rifugio Whymper, 18 ottobre 2006
Sono le otto di sera, sono arrivato da qualche ora al rifugio Whymper. Fra qualche ora sarebbe dovuto cominciare il mio secondo tentativo di scalata del Chimborazo. Utilizzo il condizionale passato perche' domani credo che l'unica cosa che potro' fare sara' andare via da qui. Sono terribilmente malato. Gia' stamattina a Riobamba non mi sentivo bene ma adesso la cosa ha preso tutt'altra ampiezza. Ho una febbre fortissima (non ho il termomentro, ma credo debba essere intorno ai 39 gradi) e lo stomaco pieno d'aria. Con ogni probabilita' devo aver mangiato del cibo cattivo o dei liquidi contaminati. Non mi sembrano dei sintomi da mal di montagna ma vedremo domani quando partiro' da qui se le cose si metteranno meglio.
Per calmare la febbre ho prenso qualche ora fa 1 grammo di paracetamolo ma non posso aspettarmi alcuna guarigione miracolosa.
Sono triste ed arrabiato, le condizioni della montagna - nonostante quelle che credessi - sono migliori della ultima volta e domani c'e' un gruppo che parte per la cima. Anche senza aggiungermi a loro sarebbe stato comunque meglio che essere da solo.
Questa montagna sembra davvero maledetta per me, ma non voglio darmi per vinto. Domani vedremo come sto e decidero di conseguenza il da farsi.
Casa Condor, 19 ottobre 2006
Questi sono i momenti difficili. Sono ammalato e solo nella fredda stanza di una locanda deserta di nome "Casa Condor" che si trova a qualche chilometri di distanza dalla strada che conduce al rifugio Whymper. Questa mattina sono sceso dal rifugio a questo luogo che eĀ“situato a 3900 metri. Qui spero di recuperare dal malore che ieri notte non mi ha fatto chiudere occhio e che mi sta tenendo inchiodato ad una febbre di 39 gradi nonostante le massiccie quantita' di paracetamolo che sto prendendo. Non ho molto cibo e nonostante non stia bene ho cominciato a razionarlo visto che non ho idea quando durera' questa situazione. Essendo il solo turista il proprietaria mi ha lasciato le chiavi e mi ha detto che passera' domani; se possibile mi portare del pane e delle uova.
Un punto positivo: non sono sceso troppo in altitudine e questo mi consente almeno di non perdere il mio acclimatamento.
Casa Condor, 20 ottobre 2006
Non sto meglio ed a questo punto ho ragione di credere che l'infezione non sia di origine virale perche' non ho male alle vie respiratorie superiori (naso, gola, orecchie). Stamattina sono passato agli antibiotici (500 mg al giorno di azitromicina, un farmaco ad ampio spettro di azione), non posso giusto stare li' ad aspettare. E' difficile essere solo in questa stanza fredda e spoglia, bloccato in un letto ed inoltre con il cibo che mi sta per finire. Se domani non sto meglio non avro' altra scelta che scendere giu' in citta' e voltare pagina. Vorra' dire che questa montagna non era per me.
Rifugio Whymper, 21 ottobre 2006
Quasi un miracolo, o semplicemente ho avuta molta fortuna nello scegliere il farmaco adatto. Ventiquattro ore dopo l'assunzione della prima dose di azitromicina la febbre ha cominciato a scendere e qualche ora fa me la sono sentita di lasciare "Casa Condor" per dirigermi di nuovo al rifugio Whymper. Sono anche riuscito a procurarmi del cibo da una coppia di turisti che lasciavano il rifugio e che mi hanno lasciato dei cereali, riso e qualche dolce. Sono nel sacco a pelo, steso sulla branda recuperando rapidamente dagli ultimi tre giorni. Sto bevendo liquidi ed assumendo vitamine in continuazione; mi sento ogni ora meglio anche se sono fortemente indebolito.
Domani partiranno alla volta della vetta del Chimborazo due gruppi: due francesi con una guida e due americani con due guide. Non v'e' stato verso di aggregarsi a nessuno dei due gruppi, ma almeno se decidero' di partire almeno non saro' solo sulla montagna nel caso qualcosa dovesse accadermi.

Ascensione, 22 ottobre 2006
La giornata comincia presto: la sveglia e' alle undici della notte del giorno precedente, la partenza dal rifugio verso la mezzanotte. Sveglia per modo di dire perche' non ho chiuso occhio. In generale ho difficolta' ad addormentarmi presto ed in questo caso non ho dormito per nulla e per diversi motivi. Troppo sonno durante la malattia appena passata, ma sopratutto sono tesissimo. Lo sforzo fisico e mentale fatto per provorare di nuovo a scalare questa montagna - specie dopo gli ultimi tre giorni - e' stato immenso. Soltanto una difficolta' imprevista o insormontabile potrebbe fermarmi.
Mi sento bene, per il momento non accuso nessun segno di mal di montagna, ma mi sento abbastanza debole. L'azione degli antibiotici che sto prendendo deve essere andata un po' piu' in lontano della semplice distruzione degli "aggressori" del mio sistema digestivo.
Lascio il rifugio allo stesso tempo della coppia francese e della loro guida. All'inizio mi limito a seguirli, discretamente. Siamo ancora sul percorso di avvicinamento alla via normale e la direzione e' chiara e senza ambiguita'. Troppo semplice per durare; dopo circa un'ora le cose si complicano, cio' che mi aspettavo vista la mia esperienza di due settimane fa. Cio' che normalmente dovrebbe essere una facile progressione su neve e' invece ora un difficile percorso su roccia e sfasciumi misti a ghiaccio vivo. La coppia francese e la loro guida procedono su questo terreno instabile ed insidioso, per il momento li seguo. Dopo un quarto d'ora le cose cambiano. Ci troviamo di fronte allo scenario seguente: superare un muro di roccia compatta e quasi verticale che e' alla nostra sinistra, svoltare quindi di circa 45 gradi verso Ovest e proseguire lungo la via normale normalmente percorsa per ascendere alla vetta di questa montagna oppure continuare l'attuale tediosa ed impegnativa progressione cercando di raggiungere la via normale piu' in alto dove le condizioni di innevamento dovrebbero consentire una progressione piu' agevole. Il gruppo che mi precede preferisce la seconda opzione. A me non convince, ci si allontana dalla via normale e non v'e' garanzia di non trovare difficolta' impreviste; sopratutto il percorso attuale e' troppo tedioso ed instabile.
In termini generali tendo sempre a privilegiare le soluzioni che sono alpinisticamente piu' interessanti, laddove alla portata del mio livello tecnico. Il muro di ghiaccio che e' alla mia sinistra non sembra alla fine dei conti cosi' invalicabile. E' verticale ma e' pieno di appigli e la roccia e' di buona qualita'. Due piu' due fa quattro, in trenta secondi faccio la mia scelta. Decido di arrampicare in solitaria e totalmente in libera il muro. In meno di dieci minuti mi trovo trenta metri piu' in alto, supero il muro e mi trovo di fronte ad un percorso di facile arrampicata su roccette facili. In meno di mezz'ora sono almeno cento metri piu' in alto della coppia francese che nel frattempo e stata raggiunta dai due americani con le loro guide. A questo punto il percorso diventa di nuovo duro, ma sono a solo cinquanta metri dalla cresta. Il problema e' che sono esattamente dove mi ero trovato due settimane fa. Che fare? Decido di aspettare e di vedere quale percorso sceglieranni gli altri. Dopo mezz'ora di attesa si fa prepotente in me il pensiero di essere nell'errore; piuttosto che continuare verso la cresta e procedere al probabile incontro piu' in alto, decideo di effettuare una traversata e di raggiungere gli altri. Rapidamente, ma non senza sforzo, li raggiungo e li' mi rendo conto che ero sulla buona strada e che finalmente non avrei dovuto deviare. Infatti seguendo il gruppo dei due americani con le loro guide sono esattamente sulla cresta dove mi sarei trovato se avessi proseguito per il percorso da me scelto all'inizio. Nel frattempo i due francesi e la loro guida avevano fatto dietro-front; la loro guida non se l'era sentita di richiare la vita dei suoi clienti (sic).
Senza entrare troppo nei dettagli voglio dire che l'ascensione e' stata molto piu' difficile del previsto, ma dopo sette ore di dura salita finalmente ero insieme agli altri sulla vetta secondaria, la "Cumbre Veintimilla" (6267m) appena 43 metri piu' bassa della vetta principale, la "Cumbre Whymper" (6310m). Gli ultimi 150 metri del Chimborazo sono attualmente coperti da una landa di penitenti, formazioni di ghiaccio a forma di pinnacoli che arrivano a 5 metri di altezza e rendono la progressione su ghiaccio estremamente difficile. Si tratta di un fenomeno molto raro in Ecuador ma che e' stato provocato dalla deposizioni delle ceneri provocate dall'eruzione del vicino vulcano Tungurahua durante l'ultimo mese.
Il ritorno e' stato a dir poco disagevole, ghiaccio vivo e pietre instabili mi hanno accompagnato fin quasi al rifugio. In piu' punti ho dovuto scendere in libera sezioni di 6-10 metri di ghiaccio compatto senza possibilita' di errore. Fin quando le cose restano cosi' (ed occorre almeno un metro e mezzo di neve per stabilizzare l'intera via) per me il grado della via piu' facile di scalata non e' inferiore a AD- (abbastanza difficile inferiore). Sicuramente farla da solo e' poco raccomandabile, ma la soddisfazione di essere arrivato in vetta dopo i problemi degli ultimi giorni e' stata enorme.
Adesso qualche giorno di riposo e dopo in rotta verso le montagne boliviane della Cordillera Occidental. I prossimi obiettivi si chiamano Parinacota, Pomerape e Sajama.

Comments:
Carissimo Silvio, aspettavo con impazienza un aggiornamento del tuo blog, viste le difficolta' che avevi avuto in precedenza! Sono contentissimo che tu ce l'abbia fatta a superare la malattia e addirittura ad arrivare in cima con gli antibiotici in corpo... impresa non da poco dal punto di vista fisico, poi aggiungo le difficolta' tecniche di cui hai raccontato, e allora tanto di cappello.
 
Post a Comment



<< Home

This page is powered by Blogger. Isn't yours?